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ilpirandello testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, romanzi opere storiche e letterarie in prosa e lettere, premio nobel, operaomnia #
Commento
di Antonio Gramsci
Per introdurre il lettore ai capolavori di Luigi Pirandello, [sono state scelte] alcune pagine di Antonio Gramsci, che fu acuto critico dell'opera dello scrittore siciliano. Si tratta o di brani tratti dai Quaderni del carcere oppure di recensioni dell'epoca scritte da Gramsci in occasione degli allestimenti originali dei testi pubblicati. In questa prima occasione -- dal momento che Gramsci non vide l'allestimento del 1921 dei Sei personaggi in cerca d’autore -- [sono stati uniti] due frammenti gramsciani dedicati alla «dialettica» e all'«ideologia» nell'opera pirandelliana, tratti rispettivamente dal VIII e dal I Quaderno.
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L'importanza del Pirandello mi pare di carattere intellettuale e morale, cioè culturale, più che artistica: egli ha cercato di introdurre nella cultura popolare la «dialettica» della filosofia moderna, in opposizione al modo aristotelico-cattolico di concepire l'«oggettività del reale». L'ha fatto come si può fare nel teatro e come può farlo il Pirandello stesso: questa concezione dialettica dell'oggettività si presenta al pubblico come accettabile, in quanto essa è impersonata da caratteri di eccezione, quindi sotto veste romantica, di lotta paradossale contro il senso comune e il buon senso. Ma potrebbe essere altrimenti? Solo così i drammi del Pirandello mostrano meno il carattere di «dialoghi filosofici», che tuttavia hanno abbastanza, poiché i protagonisti devono troppo spesso «spiegare e giustificare» il nuovo modo di concepire il reale; d'altronde il Pirandello stesso non sempre sfugge da un vero e proprio solipsismo, poiché la «dialettica» in lui è più sofistica che dialettica.
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Forse ha ragione il Pirandello a protestare egli per primo contro il «pirandellismo», cioè a sostenere che il così detto pirandellismo è una costruzione astratta di sedicenti critici, non autorizzata dal suo concreto teatro, una formula di comodo, che spesso nasconde interessi culturali e ideologici tendenziosi, che non vogliono confessarsi esplicitamente. E certo che Pirandello è sempre stato combattuto dai cattolici: ricordare il fatto che Liolà è stata ritirata dal repertorio dopo le cagnare inscenate al teatro Alfieri di Torino dai giovani cattolici per istigazione del «Momento» e del suo mediocrissimo recensore teatrale, Saverio Fino.
Lo spunto contro Liolà fu dato da una pretesa oscenità della commedia, ma in realtà tutto il teatro di Pirandello è avversato dai cattolici per la concezione pirandelliana del mondo, che, qualunque essa sia, qualunque sia la sua coerenza filosofica, è indubbiamente anticattolica, come invece non era la concezione «umanitaria» e positivistica del verismo borghese del teatro tradizionale. In realtà, non pare si possa attribuire al Pirandello una concezione del mondo coerente, non pare si possa estrarre dal suo teatro una filosofia e quindi non si può dire che il teatro pirandelliano sia «filosofico». E certo però che nel Pirandello ci sono punti di vista che possono riallacciarsi genericamente a una concezione del mondo, che all'ingrosso può essere identificata con quella soggettivistica. Ma il problema è questo: 1) questi punti di vista sono presentati in modo «filosofico», oppure i personaggi vivono questi punti di vista come individuale modo di pensare? Cioè, la «filosofia» implicita è esplicitamente solo «cultura» ed «eticità» individuale, cioè esiste, entro certi gradi almeno, un processo di trasfigurazione artistica nel teatro pirandelliano? E ancora si tratta di un riflesso sempre uguale, di carattere logico, o invece le posizioni sono sempre diverse, cioè di carattere fan[t]astico?; 2) questi punti di vista sono necessariamente di origine libresca, dotta, presi dai sistemi filosofici individuali, o non sono invece esistenti nella vita stessa, nella cultura del tempo, e persino nella cultura popolare di grado infimo, nel folclore?
Questo secondo punto mi pare fondamentale ed esso può essere risolto con un esame comparativo dei diversi drammi, quelli concepiti in dialetto e dove si rappresenta una vita paesana «dialettale» e quelli concepiti in lingua letteraria e dove si rappresenta una vita superdialettale, di intellettuali borghesi di tipo nazionale e anche cosmopolita. Ora, pare che, nel teatro dialettale, il pirandellismo sia giustificato da modi di pensare «storicamente» popolari e popolareschi, dialettali; che non si tratti cioè di intellettuali, ma di reali, storicamente, regionalmente, popolani siciliani che pensano e operano così, proprio perché sono popolani e siciliani. Che non siano cattolici, tomisti, aristotelici non vuol dire che non siano popolani e siciliani; che non possano conoscere la filosofia soggettivistica dell'idealismo moderno non vuol dire che nella tradizione popolare non possano esistere filoni di carattere «dialettico» e immanentistico. Se questo si dimostrasse, tutto il castello del pirandellismo, cioè dell'intellettualismo astratto del teatro pirandelliano crollerebbe, come pare debba crollare. Ma non mi pare che il problema culturale del teatro pirandelliano sia ancora esaurito in questi termini. In Pirandello abbiamo uno scrittore «siciliano», che riesce a concepire la vita paesana in termini «dialettali» folcloristici (se pure il suo folclorismo non è quello influenzato dal cattolicesimo, ma quello rimasto «pagano», anticattolico, sotto la buccia cattolica superstiziosa), che nello stesso tempo e uno scrittore «italiano» e uno scrittore «europeo». E in Pirandello abbiamo di più; la coscienza critica di essere nello stesso tempo «siciliano», «italiano» ed «europeo», ed in ciò la debolezza artistica di Pirandello accanto al suo grande significato «culturale» (come ho notato altrove). Questa «contraddizione», che è intima di Pirandello, ha esplicitamente avuto espressione in qualche suo lavoro narrativo (...). Quello che importa è però questo: il senso critico-storico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e a dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti borghesi piatti e abiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute? Se anche l'intellettualismo di Pirandello non è quello identificato dalla critica volgare (di origine cattolica tendenziosa, o tilgheriana dilettantesca) è però il Pirandello libero di ogni intellettualismo? Non è più un critico del teatro [che] un poeta, un critico della cultura che un poeta, un critico del costume nazionale-regionale che un poeta? Oppure dove è realmente poeta, dove il suo atteggiamento critico è diventato contenuto, forma d'arte e non è «polemica intellettuale», logicismo, sia pure non da filosofo, ma da «moralista» in senso superiore? A me pare che Pirandello sia artista proprio quando è «dialettale» e Liolà mi pare il suo capolavoro, ma certo anche molti «frammenti» sono da identificare di grande bellezza nel teatro «letterario».
EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Luigi Pirandello - Sei personaggi in cerca d'autore",
commentato da Antonio Gramsci,
Edizione fuori commercio riservata ai lettori e abbonati dell'Unità, 1993
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